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Il significato profondo dell' accettare
Spiritualità

 Che cosa significa “ACCETTARE”

Oggi voglio scrivere di un’esperienza molto personale che mi ha portato una nuova visione della realtà e una nuova possibilità di lettura di essa. Ho appreso cose importanti e mi piace condividerle con chi sceglierà di leggere questa pagina, scoprendo il significato profondo della parola “accettare”.

Il significato profondo della parola “accettare

Il significato profondo della parola “accettare” sta nell’ osservare ciascuna parte di noi e della nostra vita, anche quelle meno comode, anzi soprattutto quelle che amiamo di meno e desideriamo modificare.

Nel mio cammino di crescita ho scoperto che all’inizio è parecchio difficile. Poi, con l’intenzione e l’esercizio le cose cambiano. Tuttavia, perché l’accettazione si completi, occorre osservare con occhi nuovi: con pura curiosità, semplicemente osservando e astenendosi dal giudizio.

Accettare”  richiede di sospendere il giudizio

“Evitare il giudizio? E perché mai?” vi chiederete, forse.

Si, evitarlo… perché,  nel momento in cui io giudico,  mi fermo arroccandomi nella mia posizione, creo spazio per il pregiudizio, ripropongo credenze, rischio di fare inutili supposizioni.

Questo fatto riduce la capacità di percepire le sfumature, contagia la lettura che facciamo del mondo, della realtà vissuta e modifica le risposte che diamo agli eventi.

Spesso si pensa che le critiche e i giudizi siano qualcosa di costruttivo…pensiamo che ci facciano fare nuove scoperte, che ci facciano crescere!

L’importanza della sospensione del giudizio

Dovete sapere che… proprio quando la pensavo così, sbagliando, ho imparato a considerare l’accettazione come una semplice sospensione del giudizio.

Ho  esercitato e applicato questo nuovo modo di pensare e… i risultati in termini pratici mi sono apparsi immensi.

Ho messo al bando i sentimenti più negativi, ho smesso di etichettare i fatti che mi accadevano con le parole “sfortuna”, ”scalogna”,  “disgrazia”, “avversità” e mi sono aperta a ciò che sarebbe potuto accadere dopo, cercando di comprendere che cosa di buono c’era in quel fatto.   Mi ha invaso la serenità, ho attuato il distacco da ciò che mi sono accorta essere per me “tossico”.

Con il tempo mi sono ricordata di aver già letto da qualche parte di quel comportamento, di quello stato interiore. Forse nelle mie letture? Nei miei corsi di crescita personale…ma certo!

Mi sono ritrovata in una antica storia tratta dalle dottrine filosofiche taoiste,  lo ricordo, elaborate da Lao Tzu nel VI secolo. Una bella storia che mi era accaduto di leggere qualche tempo prima.

La condivido con gioia perché mi pare offra ottimi motivi di riflessione.

<< C’era una volta un saggio che viveva in un villaggio nell’estremo nord della Cina.  Un giorno a suo figlio scappò il miglior cavallo. Il ragazzo fece di tutto per ritrovarlo ma nel suo girovagare l’animale era finito oltrefrontiera ed era stato preso da una carovana di nomadi.  Tutto il villaggio cercò di consolare il ragazzo che, sconsolato, accusava la sua sfortuna. Ma suo padre, uomo saggio, gli disse: “Come fai a dire che sia una sfortuna invece che una benedizione?”

Mesi dopo il cavallo ritornò: portava con sé un bellissimo stallone. Questa volta il giovane era raggiante e tutto il villaggio si congratulava con lui per la sua fortuna. Ma il padre gli disse: “Come fai a dire che sia una fortuna e non una sciagura?”                                                                                                   

Lo stallone diventò presto il cavallo prescelto per il ragazzo e gli fece guadagnare parecchi soldi. Poi, un giorno, mentre era in sella al suo bellissimo animale, il giovane cadde e si ruppe un’anca.

Ancora una volta tutto il villaggio andò a consolare il povero ragazzo sfortunato. Ma ancora una volta il padre disse: “Come fai a sapere che è una sfortuna e non una benedizione?”

Pochi mesi dopo una tribù nomade invase il nord della Cina e tutti gli uomini abili furono reclutati per andare al fronte a combattere. Nove su dieci non tornarono più a casa. Il giovane evitò la chiamata alle armi ed ebbe salva la vita proprio grazie alla caduta da cavallo. 

 E così padre e figlio vissero felici e contenti prendendosi cura l’uno dell’altro per molti anni.>>

A che cosa mi serve giudicare?

Ho portato alla memoria e riletto questa storia e mi sono detta: “ Ma è vero! Come faccio a stabilire che il fatto che definisco sfortuna sia invece una benedizione?  Che so io di ciò che nascerà da quel preciso fatto? A cosa mi serve giudicare, allora?”

Certo che il mio pensiero comprende un’ idea di fondo: non è quella di ignorare, né di raccontarmi che tutto va bene quando non è così.

Pongo però attenzione a ciò che accade, osservo la realtà e vi rimango. Prendo atto del fatto o dell’evento, mantengo l’osservazione il più possibile neutra , cerco di non sporcarla o trasformarla con idee fisse o preconcetti. La accetto così, semplicemente e mi metto in attesa di che cosa mi si svelerà, mi sarà riservato.

L’importanza di modificare taluni comportamenti giudicanti

Ho compreso questo:

♣ Senza accettazione il cambiamento difficilmente avviene.                                                                                                          ♣ Se evito qualcosa sia una situazione difficile, un’esperienza andata male, una parte di me sgradita, come posso farla  mia davvero per trasformarla in meglio?                                                                                                                                ♣ E se evito di fare mia quella cosa negativa o mal vissuta, come posso cambiarla?

E, come sempre, c’è da lavorarci su…un bel po’! ♥

 

3 Comments

    • Mimma

      Grazie Flora, ricordo anche io quella storia Zen. Mi accorgo che queste riflessioni le faccio ma al primo impatto nella situazione sgradevole ho sofferenza. Solo sofferenza, poi nasce il pensiero di accettazione…. Purtroppo questa sofferenza un po’ rimane .
      C’è da lavorare ancora .

      • Lina Podini (in F.B. sono Anil Pascal)

        “ACCETTARE” non è facile, alcune cose ho scelto di accettare, una, la più terribile, ho dovuto subirla (non si può accettare la perdita di una persona cara) si sopravvive, ma non si accetta.

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