
Mowy: il raprock che emoziona!
La loro storia
dagli ricordi personali alla speranza di un successo condiviso
Mowy, il raprock che emoziona! Il 19 luglio 2025, il Circolo ARCI “da Giau” di Torino ha ospitato la band Mowy, Scopri il loro viaggio!
Mowy il raprock che emoziona!
Un viaggio sonoro tra passione, sacrifici e sogni
Sabato 19 luglio 2025, il Circolo ARCI “da Giau” di Torino si è trasformato nel coinvolgente palcoscenico di una serata davvero indimenticabile. L’aria era elettrizzante, carica dell’energia contagiosa dei Mowy, la talentuosa band pinerolese che ha saputo conquistare il pubblico con il suo genere innovativo: il raprock.
Una fusione di sonorità distinte, quella dei Mowy, che ha risuonato profondamente nell’animo di chi scrive. Un viaggio sonoro che ha evocato piacevoli ricordi adolescenziali legati al rap – impossibile non pensare agli intramontabili Articolo 31 – e alle potenti e tipiche sonorità del rock di allora. Un mix perfetto che ha saputo emozionare e coinvolgere.
Era come se due filoni della mia gioventù musicale, apparentemente distanti, si fossero incontrati in un abbraccio. Il rap degli Articolo 31, con le sue rime schiette e l’energia contagiosa, mi riportava ai pomeriggi passati ad ascoltare CD cantando a squarcia gola. Insieme alle distorsioni e i riff di chitarra, caratteristici del rock che mi trasmettevano pura energia. I Mowy, con la loro abilità, hanno saputo unire queste due anime così diverse, creando qualcosa di fresco e familiare allo stesso tempo.
L’atmosfera del Circolo ARCI “da Giau” di Torino, con la sua peculiare accoglienza, ha contribuito a creare un senso di familiarità immediato. Nonostante fosse la prima volta in quella sede, il lungo legame con i circoli ARCI fin dalla giovinezza, in particolare quello di Pinerolo (To), mi ha fatto sentire subito a casa. Un luogo che sa di storia e di comunità. La combinazione della musica energica dei Mowy e l’ambiente caloroso del circolo ha reso la serata un’esperienza davvero speciale. Un connubio perfetto tra la potenza della musica e il comfort di un luogo che sa di casa. I Mowy sono stati capaci di emozionare e coinvolgere il pubblico con il loro stile unico e distintivo, lasciando un segno indelebile in chi ha avuto il piacere di ascoltarli.
Da anni frequento i circoli ARCI, e credo che non siano solo spazi fisici, ma veri e propri punti di riferimento culturali e sociali per il quartiere o paese in cui si trovano. Quel sabato sera al “Da Giau”, nonostante fosse la mia prima volta lì, l’aria piena di energia, i volti sorridenti e l’odore familiare di caffè e “birra del circolo” mi hanno immediatamente fatto sentire a mio agio. Mi sono ritrovata a riflettere su quanto sia importante avere luoghi così, dove la musica, non è solo un prodotto da consumare, ma un’esperienza da condividere, in un ambiente che trasuda gioia e serenità.
Ma chi sono i Mowy? E cosa li spinge a percorrere questa strada, fatta di note, rime e, non poche difficoltà? Oggi desidero approfondire con voi la loro storia, scoprendo le origini della loro passione e cosa li ha spinti a scegliere uno strumento piuttosto che un altro, o l’uso della voce. Esploreremo anche dove vorrebbero arrivare e quali sono le sfide che stanno incontrando nel loro percorso artistico.
Mowy il raprock che emoziona!
Le radici della passione
Un viaggio personale
nel mondo della musica
Ogni band ha una storia, e quella dei Mowy affonda le radici nelle esperienze individuali dei suoi membri, intrecciate da un amore viscerale per la musica.
Per Daniele, la musica è una questione di famiglia.
La mia passione per la musica è nata grazie a mio padre, musicista anche lui, che mi ha cresciuto a pane e Beatles,
E ancora, un ricordo che ha del tenero:
Quand’ero piccolo trovai la sua vecchia chitarra in cantina, gliela “rubai” di nascosto e provai a fare la finta rockstar, e da lì nacque la mia passione.
Un inizio semplice, quasi un gioco, che ha segnato l’avvio di un percorso profondo e significativo. Le parole di Daniele, mi fanno pensare alla potenza della trasmissione intergenerazionale della passione. È un regalo che va oltre le lezioni formali, un imprinting che si porta dentro per tutta la vita. Quella chitarra “rubata” è il simbolo perfetto di una vocazione che emerge spontaneamente.
Alessandro Crea ha un approccio altrettanto intenso.
La mia passione per la musica nasce da bambino. Sono cresciuto ascoltando diversi generi musicali, ma da subito sono stato indirizzato verso la musica rock e punk, di cui sono un grande fruitore.
L’impulso a non essere solo un ascoltatore è arrivato presto:
A 14 anni ho pensato che suonare uno strumento sarebbe stato un ottimo modo per avvicinarmi al mondo della musica, quindi ho cominciato a suonare la batteria.
Un passo decisivo che ha forgiato il suo ruolo ritmico all’interno della band. La sua determinazione a passare dall’ascolto alla pratica è qualcosa che ammiro profondamente. È il salto che molti, sognano ma pochi compiono, quello che trasforma una passione passiva in un’espressione attiva e vibrante.
Andrea, invece, ha un percorso più eclettico, che riflette la fusione di generi che caratterizza i Mowy.
Ho iniziato ad ascoltare musica tramite mio fratello e mio cugino che erano più grandi di me. Mi facevano ascoltare i Linkin Park e Eminem, poi gli Evanescence e i System of a Down
rivela.
in seguito, sono passato al rap puro andando a fare le battle di freestyle (gare in cui 2 rapper si sfidano ad improvvisare testi con rime) e infine sono tornato al suonato.
Questa versatilità è uno degli ingredienti del loro sound unico. La storia di Andrea mi ha colpito per la sua capacità di esplorazione. Dal nu-metal al rap, per poi tornare alle sonorità suonate, è un percorso che non solo arricchisce il musicista, ma dona alla band una profondità e una gamma di influenze che si riflettono chiaramente nel loro raprock. È la prova che la vera ispirazione non ha confini.
Per Mane, i ricordi musicali sono legati alle domeniche in famiglia.
I primi ricordi che ho della musica sono le domeniche a casa, quando mio padre metteva su i suoi vinili tra cui i Queen, che ho da subito adorato
ricorda con affetto.
La sua curiosità lo ha portato a esplorare un vasto panorama sonoro:
In adolescenza ho iniziato ad ascoltare generi diversi, dal gothic metal dei Nightwish al punk dei Sex Pistols o il rap dei Gorillaz, per poi arrivare al visual kei giapponese (genere musicale in cui il trucco, l’abbigliamento e la pettinatura dell’artista, è parte integrante del genere musicale). Sono sempre stato aperto alle novità, apprezzando sonorità differenti.
Questa apertura è fondamentale per l’innovazione del raprock dei Mowy. Il racconto di Mane mi ha fatto sorridere pensando a quante scoperte musicali nascano in casa, magari con un giradischi e una pila di vinili – un ricordo che per altro condivido, con la passione per i pink floyd, trasmessa da mio padre allo stesso modo. La sua curiosità onnivora è un tratto prezioso, che permette ai Mowy di attingere a un bacino di influenze vastissimo, rendendo il loro sound inconfondibile e mai banale.
E aggiunge:
Ho scelto di suonare il basso, perché mi piace il suono e l’effetto che provo quando lo sento. Le vibrazioni profonde rompono la parete tra puro suono e sensazione fisica.
Infine, Alessandro Peiretti ha ereditato la passione per il rock direttamente dal padre.
Ho cominciato ad ascoltare musica rock in casa, grazie a mio padre che è sempre stato un grande appassionato del genere ed in particolare degli AC/DC.
E racconta:
Ho coltivato questa passione negli anni ampliando le mie conoscenze musicali e gli artisti ascoltati, finché a 11 anni ho deciso che era arrivato il momento giusto per cimentarsi in prima persona suonando la chitarra.
La chitarra, per Alessandro, è diventata un’estensione della sua passione. Anche in questo caso, la figura paterna è stata determinante. Vedere la passione nascere e crescere in così tanti modi diversi, attraverso l’esempio familiare, la curiosità personale o l’esplorazione di generi, mi ha convinto ancora di più che la musica è un linguaggio universale che trova sempre la sua strada.
Mowy il raprock che emoziona!
Mowy e oltre
Dove vogliono arrivare?
Con una base così solida di passione e influenze diverse, è naturale chiedersi quali siano gli obiettivi di una band così promettente. I Mowy hanno le idee chiare, ma anche la consapevolezza delle sfide che li attendono.
Il nostro obiettivo è farci ascoltare da più persone in carne e ossa possibili, oltre a fare sì che sappiano e possano cantare le nostre canzoni ai concerti
ci spiega Alessandro Peiretti, facendosi portavoce dei sogni della band. Non si tratta solo di numeri, ma di un desiderio di connessione autentica con le persone.
Un altro obiettivo sarebbe avere sempre più persone che ascoltano per la prima volta la nostra musica dal vivo, segno che si sta diffondendo e arriva direttamente agli ascoltatori.
È il coinvolgimento del pubblico, la partecipazione attiva, il vero metro del loro successo. Vedere facce nuove e sentire le proprie parole cantate a squarciagola, questo è il sogno.
Questo desiderio di originalità e connessione è ciò che mi lega di più ai Mowy. In una società dove la fama è misurata da follower e visualizzazioni, loro cercano il contatto umano, il calore del pubblico che canta insieme a loro. È un approccio che ricorda i tempi d’oro della musica dal vivo, dove la vera ricchezza era il legame con i fan.
Mowy il raprock che emoziona!
Le sfide del
mercato musicale attuale
Tra visibilità e originalità
La strada per il successo, soprattutto nel panorama musicale odierno, è tutt’altro che semplice. I Mowy, pur con il loro talento e la loro dedizione, si scontrano quotidianamente con le complessità di un mercato in continua evoluzione.
Ci scontriamo tutti i giorni con i cambiamenti delle esigenze del mercato musicale italiano: la maggior parte delle persone vanno ai concerti e ascoltano solo musica di gruppi già affermati, con un largo seguito virtuale
ammette Alessandro Peiretti con un velo di frustrazione. La logica dei numeri, in particolare sui social media, sembra prevalere sulla qualità artistica.
Prima di tutto molti locali e festival non manifestano interesse nei nostri confronti solamente perché non abbiamo l’appeal di chi ha già 20k di follower su Instagram.
E’ anche un nostro obbiettivo, afferma, ma non sono numeri che si costruiscono dall’oggi al domani e soprattutto non danno certezza della qualità della musica che si ascolta.
Questa riflessione tocca un punto dolente per molti artisti emergenti: la visibilità online, spesso, è percepita come più importante della performance dal vivo o della originalità musicale. Questa parte del loro racconto mi ha toccato particolarmente. Da osservatrice appassionata, vedo quanto sia difficile per una band di talento come loro emergere in un panorama dominato dalle logiche dei social. Il paradosso è che la qualità musicale e l’energia dal vivo dovrebbero essere il criterio principale, e invece spesso si riduce tutto a un mero conteggio di follower. È una corsa contro il tempo e contro un algoritmo che non sempre premia l’arte autentica.
Un altro aspetto critico è la gestione del tempo e delle risorse per promuovere la propria musica.
Produrre e registrare musica è una cosa che riusciamo a fare agilmente
prosegue. La creatività non manca, e la capacità di trasformare le idee in brani finiti è un punto di forza.
I problemi nascono nel momento in cui proviamo a mettere insieme le date che permettano di farci conoscere e mantenere una costanza nel pubblicare contenuti che permettano di cavalcare trend per venire considerati sul palco ormai affollatissimo e sfuggente dei social.
L’artista di oggi deve essere anche un esperto di marketing digitale, un curatore di contenuti, oltre che un musicista. Una sfida multifunzionale che richiede tempo, energie e competenze specifiche. Ascoltando questo punto, ho riflettuto su quanto sia cambiata la professione del musicista. Non basta più essere bravi con gli strumenti o avere un buon timbro vocale; ora si è quasi obbligati a diventare esperti di social media marketing, PR digitali, e creatori di contenuti. È un carico di lavoro immenso che rischia di sottrarre tempo prezioso alla vera essenza, ovvero la creazione e l’esecuzione musicale. Eppure, in questa giungla digitale, i Mowy dimostrano una lucidità notevole nell’identificare le sfide e nel cercare di affrontarle.
Nonostante queste difficoltà, l’energia e la determinazione dei Mowy sono tangibili. La loro musica, un ponte tra generi diversi, è la loro forza, la loro firma. E il loro desiderio di connettersi con un pubblico “reale” è sinonimo importante di ciò che la musica dovrebbe essere: un’esperienza condivisa, viva e autentica. E proprio questo desiderio di un rapporto vero con il pubblico, è ciò che li rende speciali ai miei occhi. Nonostante le pressioni del mercato, non si piegano completamente alle logiche effimere del virtuale, ma continuano a puntare sulla qualità e sull’emozione che solo la musica dal vivo può dare.
Mowy il raprock che emoziona!
Il futuro dei Mowy
Una promessa di energia
e autenticità
La serata al Circolo ARCI “da Giau” ha dimostrato il potenziale incredibile dei Mowy. Con il loro raprock innovativo, la loro energia sul palco e una storia fatta di passione e dedizione. Le sfide per raggiungere il pieno successo, sono molteplici ma la loro determinazione e l’amore per ciò che fanno sono gli ingredienti che li spingeranno a superare ogni ostacolo.
Non vedo l’ora di seguirli nel loro percorso e di vederli conquistare un pubblico sempre più vasto, facendoci cantare a squarciagola le loro canzoni. Sono convinta che band come i Mowy siano il futuro della musica italiana vera. Non inseguono mode passeggere, ma creano un genere che fonde passato e presente, tradizione e innovazione. E soprattutto, mettono il cuore in ogni nota, in ogni rima, in ogni performance. Questo, alla fine, è ciò che conta davvero. Potete trovare il nuovo singolo, pezzi di me, su spotyfy e sulla loro pagina istagram.
Cosa vi colpisce di più della storia di questi ragazzi? Scrivetelo nei commenti.
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