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Società

Live Aid quarant’anni dopo

L’eco inascoltato di un mondo

che non c’è più

Live Aid quarant’anni dopo: cosa resta? Un’eredità di grande musica, speranza e sfide irrisolte. Rifletti con noi su quel giorno storico!

Live aid quarant'anni dopo Locandina in bianco e nero: chitarra a forma di africa con ai lati l'elenco dei musicisti di Londra e PhiladelphiaLuglio 2025. Quarant’anni fa esatti, il mondo si fermava. Il 13 luglio 1985, dallo stadio Wembley di Londra al JFK di Filadelfia, risuonava la musica del Live Aid. Un evento che, nella sua grandezza, non ha mai avuto e, probabilmente, non avrà mai più eguali. Ricordo ancora l’atmosfera, la televisione accesa in ogni casa, le immagini indelebili di star che oggi sono leggende assolute, spesso ancora ascoltate dalla mia generazione: i Queen con la loro performance iconica, gli U2 che si affermavano, Madonna, Sting e decine di altri, tutti uniti per un solo, immenso obiettivo: combattere la fame in Etiopia. Ero una bambina, ma l’impatto fu enorme, tanto da incidere per sempre un capitolo fondamentale nella storia della musica e dell’attivismo.

Oggi, a quarant’anni di distanza, l’organizzatore di allora, Bob Geldof, il visionario che ha tirato le fila di quell’impresa titanica, riflette con amarezza e disincanto sulla possibilità di replicare un simile evento. E il suo pensiero, espresso in diverse occasioni e recentemente rilanciato nel quarantesimo anniversario, è un pugno nello stomaco per chi, come me, ha sognato e continua a sognare un mondo migliore attraverso il potere unificante della musica. Geldof è categorico: il Live Aid non potrebbe mai più accadere. Non oggi. E le sue ragioni, seppur dure, ci costringono a una profonda riflessione sulla società che siamo diventati.

Live Aid quarant’anni dopo

Il Disincanto di Geldof:

Un Mondo Che Ha Smarrito la Sua Ingenuità Collettiva

Live aid quarant'anni dopo Foto di Bob Geldof, l'ideatore dell'eventoPerché Bob Geldof è così convinto che un nuovo Live Aid sia impossibile? La sua analisi è cruda e spietata, ma lucida. Il punto focale del suo ragionamento non è tanto la mancanza di buona volontà, quanto un cambiamento radicale nel tessuto sociale e culturale.

La società è cambiata in modo radicale e questa trasformazione ha minato le fondamenta stesse su cui un evento come il Live Aid poté prosperare.

Nel 1985, c’era un senso di ingenuità collettiva, di unità e fiducia che oggi appare quasi utopico. La globalizzazione, l’avvento dei social media, la frammentazione dell’attenzione, la polarizzazione delle opinioni: tutti elementi che, secondo Geldof, hanno eroso la capacità di mobilitazione di massa per una causa comune in modo così puro e disinteressato.

Allora, c’era una chiara percezione di un “nemico” comune – la fame in Etiopia – e un forte desiderio di agire.

Le informazioni arrivavano con un filtro diverso, meno distorte e sovraccariche come accade oggi. La gente si fidava delle figure pubbliche, degli artisti, dei giornalisti. Si credeva in un ideale più grande del singolo.

Live Aid quarant’anni dopo

Dalla Beneficenza all’Autopromozione

L’Ombra dei Social Media

Il fulcro della critica di Geldof si concentra soprattutto sul ruolo dei protagonisti. Nel 1985, le star si esibivano per la beneficenza. Non c’era la pressione di dover “documentare” ogni istante, di creare “contenuti” per i propri canali social, di trasformare l’atto di carità in una forma di autopromozione.

I protagonisti non penserebbero alla beneficenza ma piuttosto a fare un video per i social.

Ha dichiarato Geldof con un velo di tristezza. Questa affermazione è forse la più dolorosa, perché tocca il cuore dell’autenticità.

L’epoca dei social media ha creato una cultura dell’immagine, dell’apparire, dove anche l’atto più nobile rischia di essere strumentalizzato per la visibilità personale. Un artista che oggi partecipasse a un evento benefico simile, verrebbe probabilmente giudicato e analizzato non solo per la sua performance musicale, ma anche per i suoi post su Instagram, i suoi “stories” su TikTok, la sua capacità di “engagement”.

Il rischio è che il messaggio originale si perda nella distrazione del marketing personale e delle metriche digitali.

L’immediatezza e la trasparenza, che i social media promettono, si sono trasformate in una gabbia dorata dove l’ego può prevalere sull’altruismo.

Live aid quarant’anni dopo

La Crisi dell’Attenzione

e la Diffusione dell’Informazione

Live aid quarant'anni dopo Il palco con ai lati il logo dell'eventoUn altro fattore cruciale è la crisi dell’attenzione. Nel 1985, il Live Aid era L’evento. Non c’erano mille altre distrazioni digitali che frammentavano l’attenzione del pubblico. Le persone erano incollate alla televisione per ore, seguendo ogni esibizione, ogni appello. Oggi, con un flusso costante e ininterrotto di notizie, intrattenimento e contenuti sui nostri schermi, mantenere l’attenzione del pubblico su una singola causa per un’intera giornata sarebbe un’impresa titanica. Il rumore di fondo è assordante, e un evento, per quanto mastodontico, rischia di essere solo una delle tante voci in un coro cacofonico.

Inoltre, la diffusione dell’informazione è cambiata radicalmente. Nel 1985, c’era un senso di “scoperta” collettiva della tragedia in Etiopia, veicolata principalmente dai media tradizionali. Oggi, le informazioni (e le disinformazioni) viaggiano a velocità supersonica, spesso con una tendenza alla saturazione emotiva. Siamo bombardati da immagini di sofferenza da ogni angolo del mondo, tanto che il rischio è quello di cadere in una sorta di indifferenza compassionevole, dove la portata di un singolo dramma perde impatto di fronte alla vastità delle tragedie globali.

L’Eredità Imperitura del Live Aid

e la Domanda per il Futuro

Nonostante il pessimismo di Geldof sulla sua replicabilità, il Live Aid rimane un punto di riferimento, di speranza e un monumento alla solidarietà umana. Ha dimostrato che quando la musica e la buona volontà si uniscono, possono davvero smuovere montagne e toccare milioni di cuori. Il successo finanziario fu enorme, ma l’eredità più grande fu l’aver creato una coscienza globale sulla fame in Africa, spingendo governi e individui ad agire. Queen, U2, Madonna, Sting e tutti gli altri artisti hanno lasciato un’impronta indelebile, non solo per le loro performance, ma per il loro contributo a una causa più grande.

Oggi, a quarant’anni di distanza, la situazione in Etiopia e in molte altre parti del mondo non è affatto risolta. La povertà, la fame, i conflitti continuano a mietere vittime. Le sfide sono mutate, sono diventate più complesse e interconnesse, ma l’urgenza di agire rimane. La visione di Bob Geldof ci sfida a riflettere: è vero che la società è cambiata, che l’individualismo e la ricerca di visibilità dominano, ma è davvero impossibile trovare nuove forme, nuove strade, per ricreare quel senso di unità e mobilitazione che ha reso il Live Aid un evento irripetibile?

Nel quarantesimo anniversario di un concerto che ha cambiato la storia, cosa possiamo imparare dal Live Aid per ispirare la prossima generazione a usare il potere della musica e della collettività per affrontare le sfide globali, anche in un mondo così radicalmente diverso? Scrivetelo nei commenti. 

Romina Godino

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Romina Godino

Sono una persona creativa. Dalla scrittura, al disegno passando per la creazione di bigiotteria. Ho scelto di essere autrice di questo blog, per condividere passioni, pensieri e idee.

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